Nato nel 2001 il Tony Clifton Circus vuole essere un’insegna luminosa, con lampadine colorate e ad intermittenza, utile a segnalare la presenza di qualcosa di inatteso. Il progetto Tony Clifton Circus nasce da una causa scatenante, l’incontro con Anthony Jerome Clifton, un artista più o meno sconosciuto, italoamericano, la cui estetica può ridursi a quattro parole “la vita è strana”.
La formazione di questo “Circo dell’anomalia” è responsabilità di Nicola Danesi de Luca e Iacopo Fulgi.
Trovare una poetica, una linea di ricerca costante al lavoro del T.C.C. non è facile, quello che cercano di mettere in scena è la stranezza, l’anomalia;
amano far ridere ma ancor più amano far strozzare la risata in gola allo spettatore. Vogliono essere riconosciuti ed apprezzati
ma pensano che la strada migliore per farlo sia non essere accomodanti, non assecondare le voglie del pubblico, portare davanti agli spettatori
qualcosa che sia imbarazzante più che divertente.
Da queste premesse nascono i loro spettacoli veri e propri esperimenti di comicità estrema o meglio di estremismo comico,
nei quali amano mischiare la più elementare demenzialità alla sottile eleganza poetica. Ma alla base c’è sempre l’irrazionale godimento che nasce dal mettere in scena tutto questo...
da lì nasce tutto dal piacere di giocare come bambini e come bambini non chiedersi perchè nè tanto meno cosa significa... fare quello che pare e piace per loro è la cosa più importante e vederglielo fare, state certi,
non è per nulla rassicurante.
Con Amore e anche un pò di Odio.
Tony Clifton Circus
Karl Marx parla Italiano con accento tedesco, parla anche altre lingue con accento tedesco. Parla tedesco solo quando si incazza. Karl Marx è vestito con una casacca ed una pancia finta di babbo natale. Poi ha jeans e le scarpe da ginnastica. Karl Marx puzza come un punk a bestia. Karl Marx beve le birrette. Le birrette le tiene al fresco nella sua pancia finta del costume. Ogni tanto ne tira fuori una e se la beve. le prende della pancia e poi le beve in ciclo infinito. Karl Marx è un accattone, è una zecca comunista. Karl Marx ha un bicchiere di cartone della coca cola per fare la mancia, ma in realtà lui ha un pos per carta di credito tra le mani, nel bicchiere ci mette solo gli scontrini. Karl Marx chiede i soldi al pubblico ed è la voce narrante di questa storia, Friedrich Marx è Fredrich Engels ma per ragioni di lavoro ha cambiato cognome. Friedrich parla poco molto poco e quando lo fa parla in francese. Friederich Marx è vestito con un vestito elegante un completo da uomo ed ha un vistoso orologio d’oro. Friederich è fissato con la fica, non con le donne ma con la parola fica. Declina la vita in ragione di questa parola, valuta la vita che con questo termine. Groucho Marx parla in inglese, borbotta in inglese. Groucho borbotta sempre, con voce profonda. Groucho da ”grouchy" (brontolone), Groucho adora la cucina inglese ed ha l’insolito hobby di coltivare insalata. Groucho è anche un cantante quando è ubriaco gli piace esibirsi in pubblico. Anche Groucho beve birre ed altro, fuma pure delle volte. I fratelli Marx sono un trio di saltimbanchi che vogliono fare solo il loro lavoro, perchè prima finiscono il lavoro prima potranno finalmente tornare alla loro vita. Ma il lavoro in realtà non finisce mai , non c’è probabilmente nulla dopo il lavoro, non c’è altro che il lavoro. Ma i tre fratelli non si danno per vinti, il loro lavoro diventa come una missione: vivono per dimostrare che se esiste un lavoro , il lavoro può finire un giorno. E magari il giorno dopo inizia la vita. Fino ad oggi non è mai successo, non è mai finito il lavoro. e non è mai iniziata la vita. Delle volte, nei momenti difficile i fratelli Marx hanno paura che un giorno il lavoro finisca davvero, ed allo stesso tempo, a forza di lavorare, incominciano ad avere seri dubbi che dopo il lavoro ci sia veramente qualcos’altro. I fratelli Marx sono stanchi di questi paradossi , sono stanchi di questa epopea, di questa ovvietà di questo salmo religioso banale. Sono stanchi di raccontarlo e di viverlo. Sono stanchi dell’ovvietà delle cose. Il solo modo che i fratelli Marx trovano per rompere questi dubbi è applicare la logica della rivoluzione. Rompere la catena. Ed è cosi che decidono di uccidersi.
Hula Doll, uno spettacolo di comicità estrema o meglio di estremismo comico, in bilico tra il nonsense e la performance provocatoria.
In scena due clowns acidi, un musicista e un mucchio di oggetti si abbandonano alle loro fantasie ludiche non meno che al loro istinto nero. Ne viene fuori un disordinato mosaico di libertà e frustrazione, risate viscerali e pugni allo stomaco, poesia tramutata in sangue e stupidità estremizzata fino a divenire pensiero.
Lo spettacolo si snoda attraverso provocazioni verbali e azioni apparentemente assurde con lo scopo di creare una situazione progressivamente sempre più disarmante, tanto da poter indurre nel pubblico uno stato di coinvolgimento tale da fargli credere che tutto, nel teatro come nella vita, e’ possibile.È come se la gente voglia essere rassicurata, coccolata, distratta e preferisca vedere qualcosa di già conosciuto o almeno di riconoscibile, qualcosa che le permetta di spegnere il cervello ed assumere una rilassante posizione passiva ed un pò ebete. Se una persona va in strada e incontra uno spettacolo e si ferma a guardare o addirittura paga un biglietto, forse si merita qualcosa di diverso. Idealmente dedicato a Tony Clifton, munifico impresario italoamericano e a Leo Bassi, clown performer inimitabile, Hula Doll è uno spettacolo di difficile catalogazione, la sua comicità vuole essere spazzatura, la sua drammaticità sfiora la pornografia intellettuale.
Abbiamo vissuto per anni facendo ridere le persone e ci è sempre sembrato il lavoro più bello che potessimo fare... Noi ci divertivamo, le persone che ci incontravano si divertivano e per di più eravamo pagati. Poi abbiamo cominciato a non divertirci più, essere clown è diventato mestiere, un lavoro come un altro ed è stato inevitabile chiederci... PERCHE' CONTINUIAMO??? La nostra frustrazione è aumentata nel vedere che per gli altri, il pubblico, gli organizzatori, i colleghi... andava tutto bene! Tutto bene... i vecchi trucchi, le vecchie magie, le vecchie battute, le routine ripetute migliaia di volte... E poi, è assurdo chiedere ad un clown sicurezza...un clown non è un orsacchiotto di peluche, un clown è un pazzo, un diverso, un libero. Questo può regalare, o meglio vendere, pazzia, diversità, libertà. Così cerchiamo di essere in Rubbish Rabbit pazzi, diversi, liberi. In questa ansia di cambiare abbiamo trovato, del tutto inconsciamente, dei modelli eccezionali: i bambini. Loro sono pazzi, diversi, liberi, almeno prima di essere trasformati in piccoli e stressati consumatori teledipendenti. E cosa fanno i bambini se lasciati soli: casino, rumore, distruzione. Ecco, si... nel nostro spettacolo questo vogliamo: essere bambini... fare quello che ci passa per la testa senza preoccuparci del perché!!! Per questo in Rubbish Rabbit rompiamo la maggior parte delle cose che ci passano per le mani, ci spariamo, ci buttiamo per terra, balliamo, facciamo la lotta con il nostro peluche gigante... semplicemente perché è la cosa che ci fa divertire di più, e state certi... vedercelo fare non sarà per nulla rassicurante.
produzione Tony Clifton Circus co-produzione Lieux Publics - con il sostegno di SACD / Auteurs d’espace publique, La Paperie – Centre National des Arts de la Rue d’Angers, L’Atelline – Lieu de Fabrique Arts de la Rue Languedoc-Roussillon - Productions Bis
Babbo Natale è un santo, è un vecchio, è come Dio. È un saggio. Lui è un supereroe. È una pubblicità. È il simbolo assoluto della tendenza al consumismo smoderato. È una delle divinità dell'Olimpo dell'immaginario collettivo. Ma è anche un sogno infantile preconfezionato, deprimente, sfruttato volgarmente. Come il mondo di oggi: il nostro mondo non è deprimente a causa di guerre, terrorismo, povertà o arroganza del potere, ma è a causa della scomparsa della magia, il sogno, l'infanzia, la favola... Ogni bambino, quando scopre che Babbo Natale non esiste, capisce che sta crescendo, e che quindi le cose non sono così belle e magiche come prima. Questa è una delle prime delusioni della vita, uno dei primi miti a crollare, la fine della poesia, la morte della favola... un passo fondamentale per entrare in una società basata sul nulla. Ma in tutto questo, Babbo Natale, come si sente? Cosa pensa veramente del suo lavoro? Crede in se stesso? Cosa fa Babbo Natale quando non è Natale? Lui deprime? Trascorre giorni felici su una spiaggia caraibica? Sicuramente nessuno lo riconosce senza il suo vestito rosso ... Probabilmente conduce una vita come molti altri... probabilmente è uno di noi...
Produzione Tony Clifton Circus co-produzione e residenze: ZTLpro (Italie), AREA06 - Rome (Italie), Soliera Arti Vive Festival - Modène (Italie), Armunia - Festival Costa degli Etruschi (Italie), Lieux Publics - Marseille (France), Les Ateliers Frappaz -Villeurbanne (France), Le Fourneau - Brest (France)
Cagnara TV è un esperimento dell’uso del mezzo televisivo come strumento di comunicazione spettacolare. Il contenuto di questa Televisione libera, anche troppo libera, è l’osservazione dell’oggetto teatro da un punto di vista scettico. L’idea di creare un programma tv sul teatro o più in generale sullo spettacolo dal vivo e sul mondo che gli gira intorno nasce dalla considerazione che in Italia non c’è nulla di più reale della Televisione e non c’è nulla di più finto del Teatro. L’obiettivo, quindi, è di trasformare in reale un linguaggio “finto” come quello teatrale attraverso un linguaggio ormai universale e quindi “vero” quale quello televisivo. Il palinsesto della trasmissione è dettato dagli avvenimenti del festival, Spettacoli, Artisti, Pubblico, Dibattiti, Incontri pubblici e privati, ma anche dall’osservazione del luogo dove l’evento è ospite. Tutto verrà commentato e riletto con una linea guida che è il desiderio di cronaca e testimonianza, ovviamente ed inevitabilmente, mediato dall’incapacità di uscire dal meccanismo egocentrico di mettere in scena la propria visione delle cose e delle persone.
Un improbabile Spider Man, patetico e disfatto, è sospeso a un'altezza di poche decine di centimetri da terra, stretto con un rotolo di cellophane su una colonna nel bel mezzo di una paesaggio urbano. L'immagine ha una forza immediata, allo stesso tempo poetica e terribile, ma il vero spettacolo è nella reazione dei passanti, incoraggiati da un badante/bodyguard che accompagna il supereroe, a sfruttare l'incredibile opportunità di confrontarsi con la normalità della sconfitta dell'invincibile.
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